Bambini, chi di voi si pulisce le scarpe da calcio da solo?

Lo domando perché sono cresciuto con un’allenatrice che se avevo le scarpe sporche non mi faceva giocare e con una mamma che se non le lavavo restavano così com’erano.
Non mi dispiaceva: le scarpe erano mie e per me erano speciali.

Si leva solo una mano in risposta alla mia curiosità. Domando come mai gli altri non seguano la stessa pratica e ricevo in contrapposizione un semplice e aspettato “le lava la mamma”.

Forse hanno perso un po’ il loro valore. Le scarpe sono diventate un comune prodotto commerciale: è una routine a ogni cambio di calzature sentire domande come: “Hai le scarpe di Messi?” o “Hai le scarpe di Ronaldo?” e sentire rispondere: “Sì, proprio le loro”.

La risposta dovrebbe essere: “No, sono le MIE scarpe”.

Sono ciò che rendono calciatori. Sono la bicicletta dei ciclisti, la racchetta dei tennisti. La scarpa è il rossetto che ricopre il piede che bacia il pallone.

Che significato hanno le scarpe da calcio per un calciatore? Con quella punta accentuata, i tredici tacchetti in gomma sotto la suola e i lacci più lunghi delle scarpe normali. Mi piace vedere quei bambini che sembrano svolgere un rito nell’infilarsi le scarpe: le estraggono dallo scomparto inferiore della borsa, le appoggiano a terra, sistemano bene il calzino sul tallone e sulle dita, prendono una scarpa, alzano la linguetta, v’inseriscono il piede, l’allacciano, danno due colpetti col dorso della mano quasi a spolverarle prima di impantanarle, poi stessa pratica con l’altra scarpa.
È straordinario vedere come alcuni bambini siano gelosi del loro mezzo e se ne prendano cura, ad alcuni farà molto ridere, ma è anche in quel momento che crescono e maturano.

Hanno un inizio e una fine, una vita breve, ma i bambini le amano per tutto quel periodo come fossero un figlio. Sono un loro tesoro, ciò che li differenzia dagli altri bambini, dai compagni di squadra ai quali sono accumunati per la divisa.

“Perché le scarpe sono mie”.

Davide Fabris